giovedì 22 giugno 2017

venerdì 9 giugno 2017

Das ist nicht Mathematik. Das ist Theologie.

“Senti, ma com'è questa storia che la dimostrazione del teorema di Didone è sbagliata? O è una dimostrazione, o non lo è!”.

“Vero. Diciamo che è una dimostrazione parziale: Steiner ha dimostrato che, se una soluzione esiste, è quella. Ma non ha dimostrato che esiste”.

“Ma dai, ma cosa vuol dire? Se ha dimostrato che la soluzione è quella, amen, è quella. Cosa c'è da dire ancora?”.

“Eh, non è mica vero. Se c'è è quella, ma forse non c'è”.

“Ma come fa a non esserci? Didone deve circondare la più grande superficie possibile, dato un certo perimetro. Ci sarà pure una figura che ha un'area maggiore di tutte le altre”.

“Sarebbe come dire che tutte le funzioni hanno un massimo, e non è vero”.

“Non è vero? Ah, beh, se hai una funzione che cresce sempre, diventando infinitamente grande, quella certamente il massimo non ce l'ha”.

“Non solo: puoi avere una funzione che cresce, che è limitata, e che non ha massimo”.

“Che è limitata? Vuol dire che non cresce oltre un certo valore?”.

“Esatto”.

“Ma allora il massimo è quel valore!”.

“Eh, no. Prendi una torta”.

“Ah, va bene”.

“Tagliala in un certo numero di fette e dammene una”.

“Ok”.

“Quanta torta ti rimane?”.

“Boh? Tutta meno una fetta”.

“Adesso prendi un'altra torta”.

“Poi ingrasso”.

“Aumenta il numero di fette rispetto a prima, e dammene una. Quanta torta ti rimane?”.

“Sempre tutta meno una fetta”.

“Più o meno rispetto a prima?”.

“Di più: ti ho dato una fetta più piccola”.

“Perfetto. All'aumentare del numero di fette, ti rimarrà sempre più torta”.

“Certo”.

“Quindi la funzione-torta è crescente”.

“Giusto”.

“E non supera mai il volume della torta intera”.

“Certo che no”.

“Quindi la funzione-torta è crescente e limitata”.

“Vero”.

“Però non ha massimo”.

“Uh?”.

“No, cresce sempre. Sempre meno, in realtà, ma cresce sempre senza raggiungere un valore massimo. Se dividi la torta in dieci parti e mi dai una fetta, ti rimarranno nove decimi di torta. Se la dividi in cento parti, ti rimarranno novantanove centesimi, e così via. Se mi dai una briciola, ti rimarrà una torta meno una briciola. Non esiste un valore massimo”.

“Uffa”.

“E allora capisci che dimostrare che se una soluzione esiste, allora essa deve avere un certo valore, non significa dimostrare anche che tale soluzione esiste davvero”.

“Roba da matti”.

“Ricorderai il romanzo di Agatha Christie Assassinio sull'Orient Express?”.

“Certo”.

“Una persona è stata uccisa su un treno in movimento, quindi l'assassino deve essere sul treno”.

“Vero”.

“Ma [spoiler! spoiler!] non è così: l'assassino, inteso come singola persona che ha compiuto l'atto, non esiste. Se poi il morto fosse morto di morte naturale, la mancanza di soluzione sarebbe ancora più evidente (ma, probabilmente, il romanzo sarebbe molto più noioso)”.

“Umpf”.

“Chissà, magari esiste un romanzo in cui i sospetti sono solo dieci, e l'investigatore riesce a scagionarne nove. Verrebbe da dedurre che quindi il colpevole è il decimo perché, se la soluzione esiste, non può che essere quella. E invece il morto non è stato assassinato, è semplicemente morto per cause naturali”.

“Ho capito, ho capito… Adesso mi dirai che ci sono casi, in matematica, in cui si riesce a fare anche il contrario?”.

“Cioè?”.

“Cioè dimostrare che la soluzione esiste, senza sapere quale sia?”.

“Oh, certo”.

“Capirai”.

“C'è un caso molto famoso, in effetti. Nel 1868 il matematico tedesco Paul Gordan, soprannominato il re degli invarianti…”.

“Santo cielo”.

“Eh, oh, è così. Era uno dei massimi esperti della teoria degli invarianti”.

“Una roba di cui non ho mai sentito parlare”.

“Si tratta di algebra astratta…”.

“Come se esistesse dell'algebra concreta! Ma dai”.

“Ehm. Ok. L'algebra astratta è effettivamente più astratta dell'algebra che si studia a scuola”.

“E quindi è totalmente incomprensibile”.

“Diciamo che c'è qualcosa di vero in quello che dici. Ecco perché la gente in grado di comprenderla bene poteva avere soprannomi da cow boy”.

“Perfetto”.

“Quindi c'era questo Paul Gordan, esperto di una particolare teoria algebrica, che aveva ottenuto molti risultati importanti, tra cui un teorema che afferma che una certa classe di polinomi (una classe infinita) poteva essere generata da un insieme finito di generatori”.

“Non ho capito niente”.

“Non ho spiegato quasi niente: la cosa importante è che un insieme infinito può essere descritto in modo semplice, usando solo un numero finito di mattoni. I Veri Matematici sono sempre contenti quando si ha a che fare con un numero finito di oggetti”.

“Va bene. Quindi c'era questo espertone che aveva dimostrato un teorema importante”.

“Esatto. Dopo vent'anni arriva David Hilbert…”.

“Un nome che non mi è nuovo”.

“Già. Nel 1888 non era ancora così famoso, aveva discusso la tesi di dottorato nel 1885, era ancora giovane, ed era molto bravo. Generalizza il teorema di Gordan, astraendo ancora di più il tutto”.

“Andiamo bene”.

“La dimostrazione di Gordan era piena di calcoli, difficilissima da generalizzare perché i calcoli sarebbero diventati proibitivi. E allora Hilbert, con un colpo di genio, aggira il problema. Utilizzando l'induzione, dimostra per assurdo il suo teorema”.

“Per assurdo?”.

“Sì, invece di dimostrare che la tesi del suo teorema deve essere vera, dimostra che è impossibile che sia falsa. E, se non può essere falsa…”.

“Allora deve essere vera. Bello”.

“Già. Ma c'è un problema: con questo tipo di dimostrazione lui non riesce a costruire l'insieme finito di generatori di cui parla il suo teorema. Dice solo che esiste. Anzi, dice che è impossibile che non esista”.

“In sostanza, dice che esiste ma non dice com'è fatto?”.

“Esattamente”.

“E cos'ha detto il matematico che invece aveva fatto un sacco di calcoli, nella versione semplificata del teorema? Gordan?”.

“Eh, Gordan legge la dimostrazione, praticamente senza calcoli, lunga poche righe, si gratta un po' la testa, alza gli occhi, e dice: Das ist nicht Mathematik. Das ist Theologie”.

“Ah ah. E Hilbert?”.

“Hilbert, confortato da Klein, un altro personaggio con un certo cervello, scrive un secondo articolo in cui approfondisce il suo teorema, fa delle stime, e pubblica pure quello. Il mondo matematico riconosce l'importanza del teorema che diventerà noto con il nome di Teorema della base di Hilbert”.

“E Gordan?”.

“Gordan commenta: mi sono convinto del fatto che anche la teologia ha i suoi meriti”.

“Meraviglioso”.

“Già. Riguardo le dimostrazioni di esistenza, avevo scritto qualcosa qualche anno fa: ecco qua”.

“Davvero pane per i filosofi”.

“All'epoca ci furono discussioni animate sulla validità di dimostrazioni di questo tipo, cioè non costruttive. Kronecker morì poco tempo dopo…”.

“Quello che affermava che Dio ha fatto i numeri interi, e che tutto il resto è opera dell'uomo?”.

“Lui”.

“Bel tipo, chissà cosa avrebbe detto riguardo questo tipo di dimostrazioni”.

“Possiamo immaginarlo, perché altri matematici portarono avanti le sue idee. C'è una setta di pazzi che non riconosce dimostrazioni di questo tipo, e che dice che si dimostra solo ciò che si può costruire”.

“Chissà Hilbert”.

“Hilbert soffriva. Una volta disse che togliere a un matematico il principio del terzo escluso, cioè quel principio logico secondo il quale se una affermazione non è vera allora è falsa, perché non esiste una terza possibilità, sarebbe come impedire a un pugile di usare i pugni”.

“Ottimo”.

“E, insomma, la discussione continua ancora oggi. C'è chi non riconosce dimostrazioni non costruttive, e chi addirittura non riconosce in matematica nessun tipo di infinito”.

“Comincio a pensare che questa sia davvero teologia”.

“Già”.

“Ma, alla fine, il problema di Didone ce l'ha o no una soluzione?”.

“Ce l'ha, quella di Steiner. Ma è stata dura dimostrarne l'esistenza”.