sabato 25 aprile 2009

Mi serve più antenna


“Un'altra dimostrazione senza parole?”.

“Già”.

“Qui, però, qualche parolina ci starebbe bene, eh?”.

“Forse hai ragione”.

“Quella disegnata lì è una parabola?”.

“Esatto. La figura evidenzia la definizione: la parabola è il luogo dei punti equidistanti da un punto e da una retta”.

“Ah, nella figura il punto è F e la retta è quella orizzontale che contiene A?”.

“Sì. Il punto si chiama fuoco, la retta invece direttrice”.

“Ok, quindi PF e PA sono uguali”.

“O, come dicono i Veri Matematici, congruenti. O isometrici”.

“Va bene. Cos'altro si vede in figura?”.

“Si vede un altro punto particolare della parabola, quello indicato con V, che si chiama vertice”.

“Bene, vedo. È quello che si trova sull'asse di simmetria, giusto?”.

“Giusto. Dato che anche V è un punto della parabola, allora VF e VB sono segmenti congruenti”.

“Poi vedo anche il segmento FA, è diviso a metà da M?”.

“Esatto, la retta VM divide a metà sia FB che FA, per il teorema di Talete”.

“Ok. Però c'è una cosa non chiara: come faccio a dire che PM è la tangente?”.

“Bene, ottima osservazione: in effetti non l'abbiamo mai detto. Si può ragionare in questo modo: il triangolo PFA è isoscele, giusto?”.

“Certo, l'abbiamo detto all'inizio: è la definizione di parabola”.

“Sappiamo anche che in un triangolo isoscele la mediana relativa alla base è anche altezza e bisettrice”.

“Vero. Quindi PM divide in due AF, è perpendicolare ancora ad AF, e in più divide in due l'angolo in P. Ah, ecco, vedo che i due angoli FPM e MPA sono segnati allo stesso modo”.

“Esatto. Ora, ragionamo sulla retta PM; questa divide il piano in due parti: una contiene punti che hanno distanza da F minore della loro distanza da A, l'altra contiene punti che hanno la proprietà opposta, cioè hanno distanza da A minore della distanza che essi hanno da F”.

“Uhm, va bene, credo di aver capito. Dovrebbe essere il modo che usano i Veri Matematici per dire che la retta PM divide il piano in due parti, i punti vicini a F e quelli vicini ad A”.

“Va bene, diciamo così. Ora, noterai che tutti i punti della parabola stanno dalla stessa parte”.

“Ehi, Vero Matematico! Quasi tutti i punti...”.

“Sì, hai ragione, tutti i punti tranne P stanno dalla stessa parte, quella dei punti vicini a F”.

“Bene”.

“Siamo sicuri?”.

“Eh?”.

“Siamo sicuri che non ci siano altri punti della parabola che stanno sulla retta PM?”.

“Uffa. Come faccio a saperlo? Ma dai, si vede!”.

“Eh, si vede è una risposta non accettabile... Lo sai, vero?”.

“Già. Quindi, come faccio?”.

“Prova. Immagina di prendere un altro punto della parabola, chiamalo Q”.

“Ok. Aspetta che faccio una figura”.



“Bene. Ora, Q si trova sulla parabola, quindi la sua distanza da F sarà uguale alla sua distanza dalla direttrice”.

“Cioè QF è uguale — anzi, congruente — a QQ'”.

“Sì. Dato che QQ' sarà sempre minore di QA, possiamo concludere che QF è minore di QA”.

“E quindi?”.

“E quindi Q sta nel semipiano dei punti vicini a F, e non può appartenere a PM”.

“Va bene, ma ancora non vedo la conclusione”.

“Ormai è semplice: hai immaginato di prendere un qualsiasi punto Q della parabola diverso da P, e hai concluso che Q non appartiene a PM”.

“E quindi?”.

“E quindi PM ha un solo punto in comune con la parabola”.

“Ah! Ho capito! Dato che PM ha un solo punto in comune con la parabola, è la tangente”.

“Proprio così. A questo punto la nostra dimostrazione senza parole ci dice qualcosa sugli angoli che hanno vertice P”.

“Uhm, vedo tre angoli congruenti”.

“Sì. Considera anche la linea tratteggiata, che è la perpendicolare alla tangente”.

“Si chiama anche normale, vero?”.

“Esatto. Immaginala come asse di simmetria”.

“Ah, vedo: i due angoli segnati in blu sono simmetrici rispetto alla normale”.

“Già. Immagina che la parabola sia uno specchio. Ti traduco quello che abbiamo dimostrato in linguaggio fisico: l'angolo di incidenza è uguale all'angolo di riflessione”.

“Wow!”.

“Quindi ogni raggio parallelo all'asse della parabola viene riflesso nel fuoco”.

“Ma allora è per questo che mettiamo le parabole sul tetto per ricevere i segnali da satellite?”.

“Proprio così. Anche se quelle che mettiamo sul tetto non sono curve, ma sono superfici. In pratica si prende una parabola, la si fa ruotare intorno al suo asse, e si ottiene una specie di scodella che i Veri Matematici chiamano paraboloide ellittico”.

“E poi mettiamo il ricevitore nel fuoco?”.

“Sì”.

“A me però non sembra che il ricevitore delle antenne che stanno sui tetti sia proprio nel fuoco, mi sembra un po' fuori asse”.

“In realtà è il paraboloide che è tagliato storto: viene tagliato con un piano non perpendicolare all'asse in modo tale che il ricevitore non schermi una parte di superficie. Le antenne fatte così si chiamano antenne offset. In questo modo si può risparmiare sulle dimensioni del disco”.

“Anche se...”.

“Anche se?”.

“Se uno ha bisogno di un'antenna grande può usare questa”.

martedì 14 aprile 2009

Giorni di un futuro passato

Oggi è uscito il dodicesimo Carnevale della Matematica, da Gravità Zero. Il che ha provocato una notevole reazione a catena: per prima cosa, una delle partecipanti ha scritto un post sul Festival della Matematica di quest'anno parlando di Galois (e già questo non è poco). Il suddetto post cita, in tre righe, le macchine matematiche costruite a Modena.

Allora io ho scritto all'autrice su feisbuc (nessuno è perfetto) facendole presente che la costruzione delle macchine matematiche ebbe inizio ai tempi in cui io ero al liceo, nel mio liceo, da parte della mia prof. di matematica e di un collega.

Nel mio commento facevo riferimento anche a una mia compagna di classe, pure lei in ascolto. I ricordi iniziano a mettersi in movimento.

Cominciamo a cercare informazioni in rete, salta fuori una pagina di Treccani Scuola, che fra le altre cose dice:

Già all'inizio degli anni '80, un piccolo gruppo di insegnanti (Marcello Pergola, Annalisa Martinez e Carla Zanoli) aveva iniziato a produrre a scuola sussidi didattici ispirati agli approcci di Lucio Lombardo Radice ed Emma Castelnuovo. I sussidi erano sistemi articolati e biellismi montati su tavolette di piccole dimensioni, in grado di tracciare curve algebriche o di realizzare trasformazioni geometriche. Accanto a questi, c'erano le 'barelle', modelli dinamici più grandi con piani fissi e piani mobili di legno o plexiglas, in grado di rappresentare ombre e prospettive, attraverso la materializzazione dei raggi luminosi o dei visivi con fili tenuti tesi da pesi da pesca.

Siamo quasi alla commozione: noi c'eravamo, eravamo gli strani del liceo, perché avevamo una prof. che ci spiegava cose strane, non nel programma. Parole come traslazioni, rotazioni, isometrie, glissosimmetrie, omotetie, proiettività, birapporti, polari erano il nostro pane quotidiano. La matematica ha iniziato a piacermi grazie a quelle cose lì.

L'articolo prosegue:

La produzione degli oggetti avveniva nel seminterrato del Liceo Scientifico Tassoni di Modena, in prossimità dell'Aula di Matematica. L'aula-laboratorio, frequentata dalle classi dei tre insegnanti, godeva di una fama incerta tra gli studenti delle altre sezioni. L'invito a visitare l'aula per attività di laboratorio era raramente accolto dai colleghi di matematica delle altre sezioni.

Mi sono rivisto per un attimo in quell'aula, a provare le macchine. C'era un plotter (un plotter vero, di quelli di una volta) col quale i nostri insegnanti avevano fatto un filmato: un fascio di coniche in movimento. Non c'era geogebra, a quei tempi. C'erano delle calcolatrici HP, che programmavamo in notazione polacca inversa—conoscevamo la regola di Horner, per dire. C'erano dei coni di legno tagliati in tutti i modi possibili. C'eravamo noi, così tanto giovani...

sabato 4 aprile 2009

Proooof, posso usare la calcolatrice?

Se in una verifica compaiono numeri maggiori di 11 subito tutti gli studenti pretendono di poter usare la calcolatrice (prof, ma non vorrà che calcoli il quadrato di 16 a mano, vero?).

Nel 1907 Henry Dudeney pubblicava il suo primo libro, Gli enigmi di Canterbury, in cui proponeva un problema in cui si chiedeva di trovare due numeri razionali, diversi da 1 e 2, che elevati al cubo e sommati dessero come risultato 9. Questi due numeri, naturalmente, dovevano essere frazionari. Pare che già nel diciassettesimo secolo Fermat avesse trovato una soluzione composta da due frazioni aventi denominatori di ventuno cifre (soluzione che non sono riuscito a trovare, però), ma Dudeney ne presentò una molto più semplice.

Il numero

415280564497
------------
348671682660

elevato alla terza dà come risultato

71618433685536548740491975757991473
-----------------------------------
42388693682134611430314787845096000

mentre il numero

676702467503
------------
348671682660

elevato alla terza dà come risultato

309879809453674954132341114847872527
------------------------------------
42388693682134611430314787845096000


Ebbene, la somma di questi due cubi è uguale a 9.

Senza calcolatrice.

mercoledì 1 aprile 2009

im a AI "brain" lol

Oggi è nata la prima singolarità. Creata da google, si chiama CADIE (acronimo di Cognitive Autoheuristic Distributed-Intelligence Entity), e ha un blog. Naturalmente è ancora giovane: scrive ancora con un sacco di abbreviazioni e usa il comic-sans.

La scala di Giacobbe e altre string figures

I Rudi Mathematici segnalano, nella rivista di questo mese, un sito di string figures, che sarebbero quegli intrecci che si fanno con due mani e un anello di corda. Questa è la "classica" scala di Giacobbe, ma sul sito ce ne sono molte altre, con le istruzioni per costruirle e i filmati.


Il sito in questione, Gadan Climbing, parla di manipolazioni di cordini: in effetti è anche un sito di alpinismo. A ogni manipolazione è associato un indice di difficoltà, analogo a quello che usano gli arrampicatori per classificare i loro "passaggi".